Una delle domande più frequenti che arrivano a noi psicologi consiste nel trovare un modo di “eliminare” sensazioni spiacevoli e pensieri negativi, richiesta spesso accompagnata dalla percezione che tali stati non siano tollerabili o che ci sia qualcosa di sbagliato, o addirittura vergognoso, nel raccontare le proprie difficoltà. Se da una parte una delle mission del nostro lavoro è quella di promuovere uno stato di benessere completo della persona, dall’altra parte è bene considerare che nell’economia totale del nostro equilibrio mentale e fisico anche le sensazioni negative assumono un loro significato. Infatti se focalizziamo la nostra attenzione sull’eliminazione delle emozioni negative il rischio è quello di sollecitare un effetto diametralmente opposto, che porta invece ad un rigonfiamento del problema stesso.

Perché avverrebbe questo contraccolpo?Per rispondere a questa domanda pensiamo per esempio a cosa accade quando il nostro corpo ci segnala qualche disequilibrio interno a cui però non viene dato ascolto: un semplice esempio può essere il mal di pancia. Se abbiamo il mal di pancia e per quella giornata stiamo un po’ più attenti a mangiare, cambiamo qualche piccola abitudine, questo disagio probabilmente se ne andrà velocemente; se però non badiamo alla nostra percezione e ingurgitiamo dolci, bevande gassate, ecc., sarà probabile che il nostro malessere, anziché diminuire, aumenti. Qualcosa di simile accade quando non si da ascolto alle emozioni negative che possono attraversarci: il tentativo di sopprimere i dispiaceri e le preoccupazioni infatti fa si che esse non vengano realmente superate, piuttosto continuano a circolare dentro di noi facendoci sprecare numerose energie adibite a tenere sotto controllo i pensieri dolorosi, i quali fanno poi capolino quando meno ce lo aspettiamo rendendoci più vulnerabili agli stress nonché ripresentandosi non appena abbassiamo la vigilanza, per esempio alla sera prima di dormire, o nei momenti “vuoti”, di noia.

Quindi, quale funzione hanno le emozioni negative? In primis ci portano a fare unavalutazione complessiva di quello che stiamo vivendo: grazie di essa la nostra attenzione si sposta su qualcosa che si presume non vada nell’ambiente circostante forse, o nelle stesse azioni che noi mettiamo in campo. Come prima cosa dunque la tristezza permette di porre la nostra attenzione su elementi che abitualmente, quando tutto va bene, non consideriamo: in tal modo ci suggerisce un “ricalcolo” delle nostre necessità e delle nostre priorità, gettando così le basi per un cambiamento di direzione o per la costruzione di nuove strade e possibilità.Un primo passo per superare gli stati negativi è quindi lasciare che questi ci attraversino, fiduciosi nel fatto che se ne faremo buon uso essi avranno svolto la loro funzione e quindi ci lasceranno. Un pensiero utile per esempio è immaginarli come nuvole nel cielo che arrivano perché c’è anche bisogno di pioggia.

Allargare il pensiero. Se possiamo considerare le emozioni negative e ascoltare quello che ci sussurrano ci renderemo ben presto conto che spesso la realtà non è fatta unicamente di sole o di pioggia, ma di momenti “misti”: secondo Adler e Hershfield della New York University  riuscire a vedere la criticità dei problemi ma anche spiragli di soluzioni possibili è la modalità di pensiero che porta ad un miglioramento del nostro benessere psicologico già a poche settimane di distanza.

Come si spiega questo ai bambini? In primis con il nostro comportamento che fa da modello, ma anche attraverso narrazioni, film e giochi. Chi fosse interessato all’argomento troverà alcune informazioni in merito nel prossimo articolo.

Dottoressa Azzali

Psicoterapeuta e Psicologa a Fidenza e Parma

A che cosa serve la tristezza?
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