Qualche settimana fa è stata lanciata su Netflix la seconda serie di Tredici. La prima stagione si era conclusa con un finale piuttosto “aperto”. Cosa accade dopo la morte di Anna? Come reagiscono le persone a lei care? E quanti ha denunciato?
Prima di tutto ritengo che un proseguimento delle vicende fosse davvero importante al fine di rendere più complesso e digeribile gli eventi raccontati. La serie ha preso il merito di denunciare fenomeni di bullismo e cyberbullismo di varia entità e non solo. Sono presenti situazioni abusanti e violenza, oltre che una scena molto forte dell’atto del suicidio della ragazza.
Come psicologa ritengo che sebbene si tratti di un telefilm questi racconti vadano comunque maneggiati con cura e resi “tollerabili” e comprensibili da parte dello spettatore, soprattutto se il pubblico è composto da ragazzi e ragazze adolescenti. Per loro è particolarmente facile identificarsi nei personaggi della storia proprio per l’età, per i vissuti, o per biografia per qualche verso simile alla loro. Non solo: anche per noi adulti è importante poter ragionare su quanto è stato raccontato perchè il rischio altrimenti diventa quello di una sentenza semplice e veloce, che condanna o condona, senza sfumature nel mezzo.
Personalmente ritengo che a questo proposito i destinatari delle cassette, i ragazzi cui Hannah invia le sue ragioni, si dividano in due gruppi. Ci sono una serie di personaggi chiaramente anti sociali, che compiono veri e propri atti penali. Senza elencarli tutti, li riconoscerete dalla mancanza di rimorso e pentimento, dall’unico scopo di uscire dalla vicenda illesi. Poi ci sono gli altri, ragazzi che hanno commesso errori. Per superficialità, per poca empatia, per difficoltà nell’esternare le loro vere emozioni. Si potrebbe proseguire a lungo. Questi ragazzi penso siano i veri protagonisti della seconda serie. Ognuno a suo modo questi ci raccontano la sensazione di colpevolezza e il tentativo disperato di rimediare.
Ma come si può rimediare all’irreparabile?
Non si può. Però si può “capire” cosa si è fatto, cambiare, aiutare altri a non prendere la stessa direzione. Attraverso un processo di crescita interna i ragazzi di questo “secondo gruppo” arrivano a darsi delle spiegazioni più complesse in merito agli agiti passati. Molti dei ragazzi delle cassette hanno storie travagliate, difficoltà emotive e o sociali. Queste problematiche dovrebbero poter essere affrontate e risolte nelle sedi adatte. Pena il rischio di venir riversate su qualcuno che non c’entra nulla.
Ma per far questo servono luoghi “protetti”: adulti con le antenne alzate, contenitivi, attenti alla fragilità del mondo adolescente. Senza queste condizioni come può un ragazzo esplicitarci le difficoltà che vive?
Spesso quando si lavora con gruppi al cui interno avvengono problematiche di bullismo parte dell’intervento è proprio diretto a un lavoro sul proprio mondo interno. Come ci fa vedere il telefilm la maggior parte dei ragazzi “bulli” ha dietro storie emotive molto complesse. Poi ogni tanto si ha a che fare con personalità anti sociali, ma più spesso son ragazzi che non riuscendo ad affrontare i loro problemi li “scaricano” su qualcun altro.
E ricordiamoci che in tutto questo partecipa anche un gruppo, che nel telefilm è reso un po’ meno visibile, quello degli spettatori. Ragazzi troppo spaventati per dire la loro, che temono di diventare le prossime vittime, o che hanno anch’essi difficoltà inespresse e sfogate attraverso il loro appoggio ad un bullo che “fa il lavoro sporco anche per loro”.
Nei prossimi giorni condividerò altri articoli sul tema che andranno più nel merito degli episodi della seconda stagione. Per offrire una lettura psicologica inevitabilmente inserirò alcuni spoiler.
© Dr.ssa Sara Azzali
Psicologa Psicoterapeuta
Studio di Psicologia a Parma e Fidenza (PR)