Spesso sento dire “non so esprimermi bene” , oppure “non ho il dono della sintesi” e altre frasi simili che sottintendono una valutazione erronea e limitante delle proprie capacità dialogiche.

Vi siete mai chiesti come comunicate? O meglio cosa gli altri capiscono di ciò che vorreste comunicare?

Quando parlo di comunicazione in realtà io non mi riferisco meramente ad un vocabolario ampio e una buona conoscenza della grammatica. Come psicologa il lato su cui mi soffermo è quello che passa tra le righe, al valore di aspetti apparentemente marginali ma in realtà fondamentali se si vuole costruire una comunicazione efficace.

Si, dico efficace perché una comunicazione ben pensata a livello di sintassi e lessico non per forza è efficace!

Se ci pensate in effetti gli scambi verbali (e non) funzionano bene quando all’altro arriva il messaggio che desidero mandare.

Per comprendere questo può essere utile immaginarci ogni scambio comunicativo come immerso in una continua spirale di messaggi inviati e ricevuti. Sottolineo quest’idea di comunicazione “circolare” perché mentre tendiamo a immaginarci gli scambi come un ping pong, dove a un colpo di A corrisponde un ritorno da parte di B.

Nella realtà gli scambi sono continui. E’ difficile da immaginare? Ve lo semplifico: quante volte è capitato che vostro figlio (o voi stessi) riportasse la sensazione di aver studiato molto ma nel corso di un’interrogazione l’atteggiamento che percepiva nell’insegnante ha provocato così tanta ansia da non riuscire a ricordare quelle stesse cose conosciute fino a 10 minuti prima? Altro esempio: siete ad un colloquio per un posto che desiderate tantissimo, nonostante ciò la vostra sensazione è di essere imbrigliati e non riuscire a far percepire appieno il vostro potenziale.

Questi sono due esempi molto comuni di situazioni in cui , benché si possa provare a confezionare un messaggio l’interazione con l’altro smuove parti di noi inaspettate, a volte totalmente sconosciute, fino a condurci a un rimaneggiamento spesso inconsapevole e non voluto di ciò che vorremmo dire e/o fare.

E quindi come si fa? Posso rispondere con una notizia buona e una cattiva.

Notizia cattiva: non possiamo prepararci ad ogni eventualità, sarebbe irreale. Il mondo e la vita sono imprevedibili, il che però da anche sale e sapore alle nostre giornate.

Notizia buona: ci si può lavorare e tantissimo, con un buon insegnante ma soprattutto con una grande motivazione.

Oggi vi do quattro spunti, ma badate bene: potrebbero essere molti di più, semplicemente servono per stuzzicare in voi riflessioni.

  1. Partite dalla consapevolezza circa il vostro modo di comunicare, per tanto ascoltate. 

Ascoltare l’altro e ascoltare noi stessi è fondamentale. Spesso noto che tante volte la comunicazione si “sblilancia” perché senza volere tendiamo ad attribuire un peso maggiore nel rendersi disponibile all’altro (son tanto concentrato su cosa l’altro si aspetta, vuole, ha bisogno, da dimenticare il mio ruolo nello scambio) o viceversa nel dare spazio al mio mondo interno (per egoismo, timidezza, sensazione di essere impegnati su fronti più importanti, ecc.)

2.  Altro aspetto importante è far nostra la consapevolezza che la comunicazione passa in gran parte da un canale non verbale: se avere le parole per pensare pensieri e frasi è fondamentale, lo è anche (e a volte in maggior misura) accorgersi di quegli elementi corporei e paraverbali che mediano gli scambi. Non rendo l’idea? Basta pensare che la stessa identica frase, detta con tonalità e atteggiamenti differenti, può cambiare totalmente di significato (a questo proposito celebri sono le vignette comiche di incomprensioni tra moglie e marito!)

3. Che idea avete di voi in relazione agli altri? Domanda difficile, che cerco di delineare meglio : ogni scambio verbale dice qualcosa della relazione con quella persona, in particolare sottintende un modo di guardare all’altro. Possiamo percepirci sullo stesso livello oppure un gradino sotto, o ancora su un gradino “sopra”. Per esempio, perché vi va male l’interrogazione anche se avete studiato? perché proprio con quell’insegnante? che rapporto avete con l’autorità?  O ancora perché nonostante sentite di esservi comportati in maniera gentile il ritorno che avete è quello di non essere stati apprezzati?

4. A questo punto vi chiederei anche di riflettere su due aspetti dalla A maiuscola: Assertività e Autostima. Il nostro grado di autostima ossia, il valore che diamo a noi stessi,  veicola contenuti a livello comunicativo, nonché interpretazioni filtrate di quelli che sono i messaggi che ci arrivano.

Un’autostima bassa si può manifestare sia con una continua sensazione di svalutazione e svilimento ma anche viceversa con un atteggiamento ipertrofico, dove ci si pone sempre sopra gli altri. Entrambi i modi purtroppo pongono purtroppo un filtro che come uno specchio deformante, tipo quelli ondulati che si vedevano spesso alle giostre, rimanda un ‘ immagine profondamente distante della realtà. Autostima e Assertività hanno poi molto a che fare: l’assertività è la capacità di comunicare in maniera rispettosa sia di sé stessi che degli altri (approfondiremo in un altro articolo i dettagli) e va da sè che bassa autostima si connette a bassi livelli di assertività.

Vi incuriosisce il tema? Bene, è una buona partenza. Credo che porsi le domande giuste sia un buon modo di procedere e se ho suscitato questo allora la mia è stata una comunicazione efficace.

Come posso comunicare meglio?
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