Una partita guardata con gli altri tifosi, splendida serata estiva, la gioia di un sabato sera spensierato: com’è che tutto questo si tramuta nella situazione traumatica di ferite e terrore?
La folla in piazza San Carlo sembra aver vissuto un vero e proprio attacco di panico. La nostra mente è molto potente e uno dei principi su cui ci reggiamo è la sopravvivenza, il mantenimento della nostra integrità fisica e psichica. La sensazione di dover sempre essere allerta, che qualcosa di brutto possa accadere da un momento all’altro, appartiene alle difficoltà nella gestione dell’ansia ma negli ultimi anni eventi di terrorismo, precedentemente avvertiti come molto “lontani” dalle nostre esistenze, sono entrati non solo nei nostri paesi, ma anche nella nostra mente. Quello che 5 anni fa sarebbe stato percepito come un semplice tonfo, come “casino”, è stato vissuto come una minaccia reale alla propria vita.
Quando l’attacco di panico prende il via frenarlo è quasi impossibile: solitamente i sintomi raggiungono un’alta intensità, poi decrescono da sé. Ma in quei 10 minuti la sensazione perdita di controllo, la paura di impazzire, di morire annebbiano letteralmente i nostri pensieri. A volte si aggiunge la sensazione di essere al di fuori della realtà, come si stesse vivendo in un sogno, o meglio, in un incubo.

Quando si è in uno stato come questo la sensazione di trovarsi in uno spazio “chiuso”, dal quale potrebbe essere impossibile fuggire, acuisce tutti questi sintomi: sabato sera sembra che questo aspetto sia purtroppo stato sottovalutato, in quanto Piazza San Carlo è una piazza che già di per sé risulta molto “chiusa”, e anche le sbarre utilizzate con lo scopo contrario di “rassicurare” sono in realtà diventate una sorta di “trappola”. Così, quegli stessi “confini” posti allo scopo di proteggere, sono stati vissuti come “trappole”, senza via d’uscita.

Il senso di sicurezza è infatti uno dei pilastri portanti che consente la nostra vita quotidiana: Maslow (1954) l’aveva infatti individuato come il “secondo gradino” di importanza, per cui seguiva immediatamente la soddisfazione dei bisogni fisici (cibo, idratazione, ecc.)

Certo non si poteva prevedere una situazione del genere, si sarebbe però potuto avere un occhio di riguardo sulla scelta dello spazio da destinare a questa attività, strutturare meglio l’ ”architettonica” dei luoghi può aiutare a contenere / limitare danni come questi.
Il terrorismo gioca sul fattore paura e colpisce luoghi non particolarmente caratteristici, tanto che ogni luogo diventa così potenzialmente non sicuro. Ognuno può vivere differentemente questa sensazione che genera impotenza, fino a terrore: c’è chi riesce a mantenere i nervi saldi, considerando che non si può avere il controllo su tutto quello che ci accade, e chi invece pur pensando razionalmente viene però travolto dalla paura e limita i suoi spostamenti o, quando li fa, li vive sempre con le antenne alzate. Su un piano ”sociale” sarebbe per questa ragione importante pensare misure che consentano di sentirsi più al sicuro possibile,  considerando anche bisogni che fino a pochi anni fa non erano emersi così prepotentemente, mentre ad oggi purtroppo, si fanno avanti sia esplicitamente che indirettamente, attraverso vicende come questa.

Dottoressa Azzali Psicologa Psicoterapeuta a Parma e Fidenza

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