Binge Watching è un termine identificato negli ultimi anni per riferisi alle “abbuffate di espisodi” di serie tv. Non solo i genitori spesso segnalano questo comportamento nei figli, capita spesso che i ragazzi stessi riferiscano di sentirsi agganciati “problematicamente” dallo schermo.
Ma il Binge Watching è veramente un problema?
Come in tutte le situazioni credo siano fondamentali due aspetti: contestualizzare e significare quanto accade.
Rispetto al contestualizzare mi sono imbattuta in un interessante studio pubblicato nel 2019 da alcuni ricercatori dell’Università del Lussemburgo (link e info in biblio) che approfondiva alcuni aspetti psicologici dei consumatori di serie tv.
Gli studiosi concludono che si potrebbe dividere i partecipanti in quattro gruppi, differenziati in base ad aspetti psicologici differenti, ognuno con un grado diverso di gravità: regolato, ricreativo, avido, disregolato.
Il gruppo “regolato” non presenterebbe indici di problematicità: si tratta di quelle persone che guardano le serie tv, anche diversi episodi in fila, ma che presentano un buon controllo dei loro impulsi e una bassa reattività emotiva. Sono persone che selezionano quello che guardano con la voglia di trarre qualcosa da ciò che guardano, in una sorta di arricchimento emotivo e di interessi che viene dall’entrare in contatto con le narrazioni seguite.
Al contrario, le persone che presentano alti gradi di impulsività e di reattività emotiva, soprattutto se uniti a un alto interesse per la serie tv in sé, sono risultati il gruppo a più alto rischio di problematicità.
Ma cosa significa alta impulsività e alta reattività emotiva?
L’impulsività è quella parte di noi che ci porta a fare, spesso nella tendenza a “reagire” in tempi molto brevi senza valutare e soppesare le scelte.
Con reattività emotiva mi riferisco alla suscettibilità delle nostre emozioni, quanto quello con cui veniamo a contatto è in grado di innescare dentro noi forti reazioni emotive.
Questi due aspetti assieme portano spesso ad evitare di entrare in contatto con i bisogni più profondi pertanto, invece di capire il significato dei miei desideri li avverto come necessità inderogabili. Così, alla fine dell’episodio, specie in quelle serie che lasciano in sospeso nodi della trama, questioni emotive altamente attivanti (e bravo chi produce le serie avendo compreso questo importante innesco), se tendo a “reagire” sarà più difficile fermarmi. Sottolineo che un’altra caratteristica che i colleghi del Lussemburgo hanno identificato in questo gruppo “a rischio” dipendenza, è anche un profondo interesse per la serie tv in sé.
Personalmente questo mi ha portato a fare una riflessione: sembrerebbe che quanto più sento di avere bisogno di una realtà fittizia, differente dalla mia senza però poter porre un confine tra me e la trama, tanto più agganciarmi a quella narrazione può diventare un rifugio/trappola.
In effetti le storie delle persone che vivono come problematico l’utilizzo di serie tv, o dei genitori che osservano questi problemi nei figli, non sono mai storie “pulite” di dipendenza dallo schermo senza nessun tipo di problematicità altra nella propria vita: i ragazzi ci raccontano spesso di “riempire” il loro tempo, calarsi nella fiction per staccarsi da una realtà spesso dolorosa. Sottolineo, non sto parlando di tutti coloro che amano le serie tv, ma mi riferisco a quelle situazioni dove la storia di qualcun’altro prende in posto della nostra e al contempo si sente di non si poter fare a meno di questo.
Il secondo aspetto della mia lettura era significare termine col quale intendo cercare di leggere il comportamento all’interno considerando la vita interiore della persona nonché cosa accade nel suo ambiente.
I problemi non sono mai isolati e anche la scienza ce lo dice: ad oggi la teoria dei sistemi complessi è infatti quella che guida il mondo scientifico. In effetti possiamo immaginarci come nodi di una rete in cui toccando un punto l’intera rete si tende, si allenta, crea buchi tra le maglie, e via dicendo.
Per esempio se una persona è deprivata della sua vita sociale perché non ha amici, oppure perché in lockdown, o ancora, perchè è in uno stato depressivo per cui si ripiega su di sé, ecco che cambiando la situazione cambia totalmente il significato stesso che può assumere un problema. Non voglio sottovalutare le conseguenze de comportamento di dipendenza che ovviamente apre ad un circolo vizioso spesso peggiorativo del proprio equilibrio psico fisico (esempio aumento sedentarietà, aumento dell’isolamento, mancanza di sonno, ecc.), ma credo importante considerare che eliminare il comportamento “problematico” non risolve la situazione.
Se il malessere della persona nel suo contesto è elevato è solito che tolta un’abitudine problematica se ne instaurerà un’altra: perché il problema vero è dentro alla persona e nel suo contesto.
Se quindi siamo di fronte ad un comportamento di binge watching , nostro o che osserviamo in qualcun altro, la vera domanda da porsi dovrebbe essere di cosa c’è realmente bisogno?
Perchè, a proposito di “guardare”, credo che per risolvere un problema sia fondamentale assuemre uno sguardo differente da quello che si aveva quando il problema si è creato.
Bibliografia (link utili):
Sistemi complessi, fisica dei in “Enciclopedia del Novecento” (treccani.it)