Qualche sera fa ho terminato questa toccante serie televisiva la cui protagonista, una ragazza sedicenne di nome Hannah, decide di togliersi la vita dopo essere stata a lungo oggetto di gravi episodi di bullismo e cyberbullismo. Per chi non conoscesse la storia, Hannah lascia delle audiocassette dove ha inciso la sua voce per un totale di 13 lati dove denuncia le ragioni che l’hanno portata al suicidio.
Credo che questa serie tv stimoli riflessioni molto importanti; di seguito condivido con voi gli spunti a mio avviso più forti.
- In primis pone il tema della distinzione tra “ragazzate” e bullismo. Benché qualcuno tenti semplificare il tema categorizzando certe azioni come scherzi, di fatto non si tratta di scherzi, ma di casi di bullismo a volte anche molto gravi. A sostegno di questo i dati ISTAT del 2014 ci dicono che ben il 50% dei ragazzi tra gli 11 e i 17 anni ha subito azioni offensive nell’arco dell’ultimo anno: questi eventi, sempre più diffusi, vengono resi ulteriormente potenti da un utilizzo scorretto della tecnologia. Immagini, video, ecc., diffusi sulla rete provocano un continuo riemergere dell’accaduto (cyberbullismo); inoltre contattano un pubblico di spettatori potenzialmente infinito. Quindi cosa, esattamente, si configura come atto di bullismo? Parliamo di bullismo quando prevaricazioni a danno di un/a ragazzo/a, si ripetono, nel tempo, vengono perpetrati da uno o più compagni, e questo avviene di fronte uno o più spettatori.
- Il bullismo non accade nel vuoto: “13 reasons why” mostra come il danno subito da Hannah sia legato non solo alle cattiverie direttamente inflitte da alcuni coetanei, ma anche all’indifferenza di coloro che “sanno”, ma non parlano. Il bullismo si nutre infatti dei gregari e della loro paura: coloro che si tengono in disparte pensando tristemente che “oggi tocca a qualcun altro, io per fortuna l’ho scampata”, chi ride, chi diffonde pettegolezzi e/o notizie infondate, si fa complice a tutti gli effetti.
- I 13 episodi attraversano non solo la vita di Hannah e dei suoi persecutori, ma anche di coloro che non sono intervenuti, lasciandola sola. I personaggi oscillano tra l’idea di poter “centrare” con la morte della ragazza e l’idea, opposta, che comunque la compagna abbia fatto tutto da sè. Sicureconomiche dei genitori, la separazione dall’amica più cara) che la portano in una posizione di estrema fragilità. Ma la fragilità non è una colpa e non si può giustificare ciò che accade alla ragazza come un essersi messa in situazioni difficili da sola, esser stata più fragile degli altri. Nella serie tv, del resto come nella vita quotidiana, vi sono vari personaggi che addirittura cercano di spiegarsi gli accaduti affermando che comunque un po’ Hannah “se l’era cercata”: un’affermazione terribile, che non solo ribadisce la prevaricazione già iniziata ad opera del bullo, ma anche toglie ad Hannah, come ad ogni vittima, il diritto di denunciare la sua sofferenza, le ingiurie subite, fino a sentirsi impotente di fronte a un mondo a cui sembra non importare ciò che la ragazza vive dentro di sé.
- Ed ecco che entra in gioco un quarto, fondamentale punto: la possibilità di chiedere aiuto, che la ragazza prova ad attivare, ma invano. Infatti non basta convincersi di dover chiedere aiuto, bisogna anche trovare interlocutori disponibili all’ascolto: chi aprirebbe il suo cuore se prima pensasse che verrà freddamente giudicato, o se pensasse che a nessuno importa quello che gli accade? Solo se sentiamo che qualcuno può ascoltarci riusciamo a grattare il fondo del barile e portare alla luce quei sentimenti e vicende che più ci fanno stare male, di cui più ci vergogniamo. Hannah sente molto lontani non solo gli amici, che lasciano un grande vuoto intorno e dentro di lei, ma anche i genitori, brave persone, purtroppo talmente centrati su come sistemare le loro difficoltà economiche finiscono per fare poca attenzione a cosa sente, dice, fa la figlia. E infine, ultimo ma non ultimo il counsellor scolastico e gli insegnanti, che banalizzano i vari accaduti.
Viste tutte le 13 puntate dentro di me si è creato questo pensiero: ognuno da sé poteva fare poco, ma quel poco, insieme, poteva fare moltissimo. Vi lascio questo spunto: cos’è che ognuno di noi può fare per prevenire e aiutare chi è in difficoltà, per evitare che ragazzi come siamo/stai noi, come sono i nostri figli, i nostri nipoti, i nostri alunni, possa divenire vittima di eventi simili? Questa domanda di per sé certo non sarà sufficiente, ma credo che tante persone insieme possano fare la differenza, con ricadute non solo personali ma anche sociali di larga scala.
© Dr.ssa Sara Azzali
Psicologa Psicoterapeuta
Studio di Psicologia a Parma e Fidenza (PR)